Psicologia

Quattro modi di interpretare la realtà: ti riconosci in uno di questi?

Conosci la parabola buddista dei ciechi e dell’elefante? Essa racconta di un re che riunì tutti i ciechi del suo regno per mostrare loro cosa fosse un elefante; ordinò ad alcuni di loro di toccarne la testa, ad altri le zampe, ad altri il ventre, ad altri ancora la proboscide. Il re chiese poi a ognuno a cosa somigliasse ciò che avevano toccato: chi toccò la testa pensò a una caldaia, chi le zampe a delle colonne, chi il ventre ad un granaio e chi la proboscide ad un manico d’aratro. Per questo motivo, i ciechi finirono per accapigliarsi: ognuno sosteneva la propria visione della realtà, e nessuno riusciva a vedere l’elefante nel modo peculiare in cui lo vedeva l’altro (Udana VI, 4, 66-69). Questa storia ci insegna che ognuno di noi interpreta e organizza la realtà filtrandola attraverso le proprie sensazioni, le quali possono essere influenzate, tra le altre cose, dal proprio passato. Questo articolo illustrerà quattro modalità in cui la realtà viene organizzata alla luce di significati specifici: depressivo, fobico, da disturbo alimentare psicogeno e ossessivo.

Uno degli aspetti più caratteristici dell’essere umano è proprio la continua interpretazione della realtà e la ricerca di un significato della propria esperienza ed esistenza. Ciò nasce da un nostro bisogno insito di sentire coerenza e continuità nella nostra vita. In particolare, i significati che fondano la nostra identità li creiamo attraverso le relazioni, soprattutto quelle con la figura di attaccamento dell’infanzia. Esse, infatti, gettano i presupposti di quella che sarà l’idea di sé del bambino e poi dell’adulto: quanto si sentirà amabile, buono, capace, o al contrario indegno, cattivo e inadeguato.

Guidano (1992), esponente dell’approccio cognitivo-costruttivista, è stato tra i primi a sottolineare l’importanza della ricerca di significato: egli ha individuato quattro modalità secondo cui la realtà viene frequentemente organizzata e strutturata. Si tratta di quattro sistemi attraverso cui le esperienze vengono interpretate alla luce di uno specifico significato, su cui verrà strutturato il proprio modo di essere e di vedere il mondo. Essi, pur essendo atteggiamenti piuttosto rigidi, non corrispondono a delle psicopatologie e infatti non presentano necessariamente sintomi. Secondo l’autore, queste modalità riguardano in particolar modo chi ha avuto esperienze precoci di attaccamento a una figura genitoriale non rassicurante: genitore distaccato, indifferente o rifiutante, oppure ambivalente e imprevedibile nelle sue manifestazioni (iperattento in un momento, assente in un altro).

Organizzazione depressiva

L’organizzazione Depressiva riguarda individui i cui genitori sono stati generalmente rifiutanti o indifferenti. Le persone con un tale assetto, da bambini, non esprimono emozioni e sensazioni: sono abili nel fingere che vada tutto bene. Non aspettandosi reazioni di cura o consolazione da parte della figura genitoriale, si proteggono dietro la dissimulazione di ciò che sentono davvero. Nella situazione più estrema, essi possono farsi carico dei genitori e diventare accudenti per meritare l’attenzione altrui. L’individuo di questo tipo tende a sentirsi condannato a un destino di solitudine ed esclusione, se non addirittura chiamato a una vita di sacrifici. Può presentare scarso controllo della rabbia e comportamenti autodistruttivi, e sperimenta continuamente un vissuto di perdita e fallimento. Ogni piccola esperienza anche ordinaria viene quindi vissuta come un abbandono o una conferma della propria inadeguatezza. Pensieri tipici saranno: “Se il mio amico non mi ha risposto al telefono allora a nessuno gliene importa niente di me: sono destinato a rimanere solo”; “se vado male ad un esame è la prova di quanto io sia incapace e buono a nulla”.

Organizzazione fobica

L’organizzazione Fobica è caratteristica di persone che hanno tipicamente avuto genitori iperattenti, che trasmettevano l’idea che il mondo è pericoloso e si può sopravvivere solo con la protezione delle persone di fiducia. Tali individui nutrono bisogni opposti e contrastanti di libertà da un lato e protezione dall’altro, e sono alla ricerca di un equilibrio tra i due poli (cfr. Guidano, 1988). Si dibattono tra un senso dilaniante di solitudine e un vissuto angoscioso di costrizione dovuto alla percezione di limitazione alla propria libertà. Hanno bisogno di mantenere il controllo sulla relazione: da una parte tentano di avere sempre a disposizione una figura di riferimento affettivo, dall’altra evitano un coinvolgimento emotivo stabile. Un’esemplificazione del loro dramma può essere riassunta così: “Ho un bisogno fortissimo che questa persona sia accanto a me e mi protegga, ma quando si avvicina troppo ho il terrore di perdere il mio spazio e la mia libertà; le emozioni forti mi fanno paura perché sento di non avere più il controllo”.

Organizzazione da disturbo alimentare psicogeno

Tale organizzazione da Disturbo Alimentare Psicogeno prevede alcune modalità centrali nei Disturbi alimentari, come il perfezionismo per arginare una forte insicurezza e il bisogno estremo di controllo. Essa però non presenta necessariamente i sintomi propri di tali disturbi (come la deprivazione di cibo o le abbuffate): ne mantiene solamente l’atteggiamento.

Nell’infanzia i genitori appaiono spesso rifiutanti e critici perché vogliono che il bambino si adegui a un modello di perfezione, e solo in tal caso questi sarà accettato. Gli individui che adottano tale organizzazione non esprimono mai ciò che realmente sentono: cercano di adeguarsi alle aspettative altrui. È possibile che essi si allineino alle aspettative dei genitori ma al tempo stesso, mostrando una componente coercitiva, li attacchino rimproverando loro un mancato riconoscimento. Il sintonizzarsi sulle aspettative dell’altro e il perfezionismo di queste persone sono finalizzati a prevenire possibili rifiuti; nel frattempo, temendo il giudizio altrui, divengono loro stessi critici verso il mondo che li circonda, ponendosi sulla difensiva. Il loro pensiero implicito (dunque non consapevole) potrebbe essere riassunto così: “Cercherò di essere perfetto per adeguarmi alle tue aspettative e non accetto di essere criticato perché vorrebbe dire che non valgo nulla. Per evitare che tu mi attacchi, ti sminuisco io prima che possa farlo tu”.

Organizzazione ossessiva

Chi ha costruito un’organizzazione Ossessiva esprime molto raramente ciò che sente a livello emotivo. Lo stile genitoriale che ha influenzato la persona è caratterizzato da un atteggiamento totalmente dedito all’educazione morale del bambino e che non veicola mai affetti o emozioni: una continua richiesta di un comportamento ineccepibile da parte del bambino, le cui condotte ed emozioni sono costantemente controllate. Il bambino ossessivo, per raggiungere un senso di sé accettabile, è costretto a basarsi solo su una delle due polarità opposte: o è amabile o è del tutto indegno. Anche da adulto, si sentirà alternativamente l’uno o l’altro estremo, come se non fossero possibili delle vie di mezzo. Tutto ciò che è incompatibile con i valori imposti dai genitori viene proibito: la rabbia, la sessualità e tutto ciò che è “amorale”. Quando la persona se ne sente preda, viene vissuta un’esperienza di totale incontrollabilità. L’individuo di questo tipo privilegia dunque gli aspetti logici e razionali della percezione di sé, e allontana le emozioni forti, ambivalenti e contraddittorie; ha un atteggiamento perfezionistico e aderisce a regole astratte percepite come assolute. Volendo a tutti i costi evitare qualsiasi danno o decisione sbagliata è spesso attanagliato dal dubbio, costretto a procrastinare e a rimuginare sui dettagli. Il pensiero implicito è di questo tipo : “Devo fare tutto nel migliore modo possibile e non devo cadere in condotte o pensieri immorali che farebbero di me una cattiva persona. Non farei mai nulla di scorretto: né passare con il semaforo rosso né barare in un gioco di società”.

Ciò che di affascinante emerge dall’approccio di Guidano è l’aspetto processuale dell’esperienza umana che, nel suo fluire, è riordinata continuamente dall’individuo alla ricerca di significato e di equilibrio. Proprio in virtù di questo continuo processo creativo, è possibile anche svincolarsi da visioni del mondo eccessivamente rigide e trovare nuove chiavi di lettura e trame inedite. Ciò sarà possibile grazie alla relazione: che sia quella terapeutica, che ci aiuta nello scovare nuove tracce, o una relazione affettiva importante. Perché attraverso la relazione e i nuovi percorsi affettivi e conoscitivi che essa genera, è possibile riconoscersi in nuovi modelli di rappresentazione di sè e del mondo: “Noi pensiamo per storie perché siamo costituiti da storie, immersi in storie, fatti di storie” (Bateson, 1989).

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